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Ansia e attacchi di panico

ansia e attacchi di panicoL’emozione della paura espressa o implicita, accompagna spesso i racconti dei pazienti in psicoterapia.

Il vissuto della paura, è un prezioso strumento di adattamento, infatti, lo stato d’allarme attiva l’organismo, rendendolo vigile e pronto a rispondere a ogni evenienza e necessità. Il timore può trasformarsi in zavorra disfunzionale quando non è motivato da un pericolo esterno, ma piuttosto da una preoccupazione interiore, un conflitto inconscio proiettato su oggetti esterni.

Nella pratica clinica, la paura prende spesso la forma dell’attacco di panico che è l’espressione “della paura di aver paura”, sostanzialmente una malattia della paura. Chi ne soffre tende ad associare e a spiegare il panico, ossia uno stato acuto di angoscia accompagnato da sintomi fisici quali tachicardia, difficoltà respiratorie, tremori, con il luogo e le condizioni in cui questo accade.

Nella storia di questi pazienti, è tipico osservare come descrivano eventi, esperienze difficili e traumatiche della vita come se non li riguardassero direttamente e spesso non riescono ad associare la situazione vissuta emotivamente, con il sintomo.

Chi soffre di attacchi di panico, vive in un mondo fobico, pieno di divieti, obblighi, percorsi già fissati che sono vissuti come immutabili. Si trova paradossalmente a essere prigioniero di una realtà che non gli piace e non gli appartiene, ma di cui non può fare a meno perché altrimenti si sentirebbe perso e spaesato. Non si può rinunciare alla protezione della prigione, ma la sua costrizione è allo stesso tempo intollerabile. Il paradosso è che ogni scelta è perdente e quindi impraticabile. Il conflitto è così acuto da non essere esplicitato con le parole ma spostato sul piano somatico con l’attacco di panico.

È proprio l’assenza della consapevolezza del nucleo disturbante che scatena l’attacco di panico, il poter riconoscere l’emozione che suscita, può diventare la chiave per liberarsi dalla paura.

Attraverso la terapia si possono piano piano elaborare i temi della mancanza di spazi, far emergere la sensazione di sentirsi in gabbia, e la mancanza di realizzazioni della persona che trova insieme al terapeuta uno spazio libero e non giudicante all’interno del quale poter “sentire” e riconoscere emozioni e bisogni propri.

La conseguenza di questa scoperta, è quasi immediata, il paziente ridimensiona la paura notturna, il sonno si regolarizza, anche se continua una certa inquietudine nel restare solo a casa o ad attraversare le stanze buie.

Il problema centrale del paziente è quello di non aver elaborato un trauma antico pre-verbale, la sua rappresentazione è rimasta come sospesa, “un lutto incistato”, congelato, che produce un’area di freddo, di chiusura, di perdita di energia. Si tratta di una catastrofe attivata dalla paura di oggi, legata a un terremoto reale o immaginato, ma la catastrofe non è attuale, è avvenuta molti anni prima. Il cortocircuito emotivo rappresentato dal sintomo degli attacchi di panico, diventa una preziosa occasione per elaborare quel lutto lontano, congelato, che limita la qualità della vita di oggi.