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Bambini distruttivi o incompresi?

bambini distruttivi o incompresi mammaCon una certa frequenza si verificano situazioni in cui bambini di sei o sette anni o poco più, creano grandi problemi per la loro permanenza a scuola.

Le maestre lamentano che questi bambini sono incontrollabili, non danno retta agli adulti, fanno quello che vogliono, se redarguiti rispondono male, se impediti di fare qualcosa si ribellano e tirano botte e calci, spostano violentemente sedie e banchi, tirano oggetti, scappano fuori dell’aula, impediscono praticamente il normale svolgimento della vita di classe.

A un certo punto i problemi dilagano fuori della classe, investono le altre famiglie, che lamentano che i loro figli tornano a casa variamente ‘segnati’ e si crea un ambiente ostile crescente intorno al bambino e alla sua famiglia. Spesso si crea una guerra o quasi fra famiglia e scuola e il bambino prima o poi viene trasferito ad altra scuola o dalla famiglia o qualche volta direttamente dalla scuola stessa.

Normalmente sono bambini intelligenti, non hanno particolari difficoltà di apprendimento, ma spesso non rispondono alle interrogazioni degli insegnanti o si rifiutano di svolgere i compiti, per cui non sono valutabili e a volte vengono bocciati.

Portati a visita specialistica ricevono spesso diagnosi, secondo la terminologia diagnostica oggi in uso, di Disturbo Oppositivo Provocatorio, o di Disturbo di Attenzione e Iperattività, o anche di Disturbo Pervasivo dello Sviluppo. È prevedibile, sull’onda delle mode diagnostiche provenienti da oltre Atlantico spinte da molti interessi, che fra poco tempo dilagherà anche qui l’ultima diagnosi, quella di Disturbo Bipolare, applicabile, con i criteri propagandati, anche a molti di questi casi.

Manifestazioni del problema

A presentare problemi simili sono in prevalenza maschi, ma non mancano le femmine. Il problema si manifesta di solito durante la prima elementare ma esplode progressivamente, fino agli estremi sopra descritti, ma i primi interventi avvengono spesso in seconda o terza elementare. Alla scuola materna veniva di solito segnalato un comportamento un po’ “fuori dalle righe”, ma non troppo alterato, anche in relazione alle richieste limiti e regole delle scuole.

Quando sono portati a visita dal neuropsichiatra infantile o dallo psicologo dell’età evolutiva tipicamente il loro comportamento è assolutamente normale e le cose riferite dai genitori sembrano contrastare con le osservazioni dirette del comportamento durante la visita. Altre volte rapidamente prendono confidenza col medico, specialmente in sedute individuali, e si divertono o non possono fare a meno di ‘provocare’ anche lui, violando limiti, facendo cose proibite, ecc.

Sulla base dei loro comportamenti, spesso solo riferiti, vengono come si diceva diagnosticati – perché in medicina ci vuole una diagnosi per giustificare un intervento – come Oppositivi Provocatori, perché tipicamente rifiutano di aderire alle richieste fatte da insegnanti o genitori e spesso ‘provocano’ reazioni adirate con il loro comportamento. Talvolta il loro comportamento non è disturbato ugualmente con tutti gli adulti: lo è di più con qualche maestra, di meno con qualche altra, di più con un genitore, di meno con l’altro.

Spesso sono anche bambini irrequieti, che non possono stare fermi, che stanno attenti solo per poco e poi seguono altri interessi, ecc, e allora viene anche diagnosticata una “comorbidità” (parola orribile ma oggi di moda) di Disturbo di Attenzione ed (Iper) Attività, più spesso oggi chiamato dalle iniziali non DAA ma ADHD (perché anche in Italia vengono fatte valere le iniziali inglesi: Attention Deficit Hyperactivity Disorder).

Il npi di solito valuta il bambino e le caratteristiche familiari e dei genitori, per cogliere eventualmente aspetti organizzativi della famiglia o delle relazioni o delle comunicazioni un po’ “disfunzionanti” ed entra in contatto con gli insegnanti per avere informazioni dirette sulla situazione scolastica. Per frequente abitudine alle nostre latitudini, spesso gli insegnanti hanno già bell’e in mente il rimedio: chiedono un sostegno scolastico per il bambino, in modo da avere un adulto che si occupi specificatamente di lui per il maggior numero di ore possibile.

Questo è possibile nella nostra legislazione solo in base alla famosa L.104/92 e solo quindi con un certificato di handicap, che stabilisca cioè che il bambino rientra nelle persone che hanno i diritti previsti da questa legge. In particolare “E’ persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione”.

Inoltre, come nei casi di invalidità, l’interessato deve essere valutato da apposita commissione medica e il certificato deve riportare l’indicazione della patologia stabilizzata o progressiva accertata con riferimento alle classificazioni internazionali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nonché la specificazione dell’eventuale carattere di particolare gravità della medesima, in presenza dei presupposti previsti. Talvolta le apposite Commissioni delle ASL riconoscono loro più o meno propriamente lo stato di Handicap secondo la legge 104/92, per cui vengono attivati interventi scolastici tipo insegnante di sostegno e assistenza scolastica.

Si può osservare che l’intervento di appoggio scolastico è un intervento appropriato e utile, ma che in effetti la classificazione del ragazzo come handicappato ha su di lui un effetto devastante a livello psicologico e, in alcuni casi, anche boomerang.

Sarebbe auspicabile la possibilità per le scuole di attivare utili interventi senza farli ricadere tutti sotto il tetto dell’Handicap.

Le diagnosi

Se non ci si accontenta di una diagnosi medica categoriale, quali quelle sopra, che fanno parte di classificazioni diagnostico/statistiche/burocratiche in voga negli ultimi anni, (DSM, Manuale Diagnostico Statistico, e ICD, cioè Classificazione Internazionale delle Malattie: utili secondo molti a livello statistico epidemiologico, molto meno a livello clinico) ma si esamina la storia e il contesto del bambino, si riscontra di solito tipicamente una situazione di difficoltà ambientali ed educative, per motivi diversi di stress lavorativi o di salute o di inserimento sociale o di difficoltà e irregolarità di scolarizzazione fin dalla scuola materna, con frequenti cambiamenti di casa, di scuola, ecc.

Anche quando non ci sono aspetti eclatanti spesso l’organizzazione familiare e gli atteggiamenti dei genitori sono inadatti da un punto di vista educativo e di sviluppo psicologico infantile. Il bambino per così dire ha imparato da lungo tempo a non dar retta agli adulti e a non badare ai loro interventi educativi, spesso contradditori e alternati, magari, fra momenti di dure punizioni spesso anche corporee e momenti di permissivismo. Spesso i genitori, pur dedicati ai bambini, hanno difficoltà a trovare le misure giuste, variamente presi da altri problemi.

La scuola

A questi aspetti ambientali di casa si aggiungono altri aspetti ambientali, stavolta a scuola, che aggravano la situazione e la rendono spesso ingestibile.

Gli insegnanti, alcuni più di altri, infatti si trovano in difficoltà di fronte a bambini che non rispondono agli abituali metodi educativi e non hanno risorse per stabilire le regole per un buon funzionamento del gruppo-classe, dipendenti in parte anche dall’assetto organizzativo attuale delle scuole con la perdita di prestigio e autorità e spesso la riduzione delle figure più autorevoli, gli ex presidi e direttori trasformati uniformemente in ‘dirigenti’ spesso senza più esperienza effettiva in quell’ordine di scuole.

La scuola come istituzione in crisi, di fiducia e di rispetto, si trova in maggiore difficoltà di fronte a ragazzi che violano le regole.

Il disagio

I bambini in sé sono spesso bambini con difficoltà di inserimento nel gruppo e di adattamento agli ambienti, e si trovano spesso al limite della disperazione per motivi diversi e hanno come unica arma di difesa l’opposizione al mondo degli adulti e la provocazione verso i coetanei.

Sono bambini che hanno imparato ad agire all’esterno le reazioni emotive alle frustrazioni e il disagio per le difficoltà emotive e di comunicazione, e che invece non hanno imparato a ‘contenere’ ed elaborare ai livelli della loro età sia le proprie reazioni che le modalità di approccio e comunicazione con i coetanei. La scarica impulsiva sull’ambiente, e la trasformazione dei rapporti in scontri, di fronte alle prime difficoltà, è la loro modalità prevalente di difesa dal disagio psichico.

Tale disagio attiva, di conseguenza, provvedimenti punitivi quando non di allontanamento ed espulsione che mantengono o aggravano le situazioni.

Gli interventi

È evidente come in questi casi gli interventi siano a volte molto complessi e debbano rivolgersi a più obiettivi e contesti: in particolare è indispensabile avviare sia un intervento familiare che un intervento sulla scuola che spesso un intervento individuale sul ragazzo stesso.

L’intervento con la famiglia è rivolto a mettere a fuoco eventuali ostacoli o disfunzionalità nelle relazioni o nelle modalità educative e comunicative.

L’intervento sulla scuola è volto ad aiutare gli insegnanti, di ruolo e di sostegno, a trovare i metodi più adatti di contenimento e risposta alle modalità oppositive e provocatorie del bambino, spesso attraverso una diversificazione degli obiettivi comportamentali ed adattivi rispetto a quelli di apprendimento, che permetta di concentrare le risorse su un obiettivo per volta, definendo le priorità rispetto a un progetto a lunga scadenza. Inoltre va curata la relazione di fiducia con questi bambini, facendogli sentire comprensione, contenimento e autorevolezza. Di solito le scuole, se ben guidate, dopo un po’ riescono più o meno difficoltosamente a prendere le misure del bambino e a riportarlo entro limiti più sopportabili.

Infine, ma non ultimo di importanza, l’intervento individuale col bambino, di tipo psicoterapeutico, che permetta di accogliere e riconoscere il suo disagio e lo aiuti a trovare altri mezzi per esprimerlo e comunicarlo, aiutandolo così anche a maturare una maggiore autostima, il riconoscimento e la gestione delle emozioni, e permettendo così di migliorare la relazione con gli altri.

Anche qui come in quasi tutto il campo della psicopatologia infantile hanno poco spazio i farmaci, oltre che per i motivi generali che ne controindicano l’uso in età evolutiva cioè la scarsa conoscenza dei loro effetti nell’organismo in crescita, la scarsa efficacia anche in confronto a placebo e altri interventi, la mancanza di studi effettivi sui bambini. Inoltre il problema vede coinvolto non solo il singolo bambino, ma l’ambiente familiare e quello scolastico, ed appare più saggio, oltre che effettivo, un intervento su tutti gli aspetti in causa.

Se l’intervento è adeguato, se c’è sufficiente collaborazione di tutte le parti in causa, se sia famiglia che scuola ‘resistono’ senza cedere a tentazioni espulsive o a drammatizzazioni inutili alla fine l’esito è positivo. Ma spesso occorre lavorare per qualche anno prima che le cose volgano al meglio.