Differenze fondamentali tra didattica a tempo moduli e tempo pieno
Sento il bisogno di sottolineare le differenze portanti fra Moduli e Tempo pieno perché credo possa aiutarci a riflettere sui perché dei tentativi di abolizione del Tempo pieno, sull’origine della strada in discesa che ha portato alla situazione attuale.
IL TEMPO MODULI
Da un lato, la scuola modulare. Si organizza attraverso la presenza di più insegnanti (tre anche quattro) su ogni classe, ognuno con distinte discipline e tempi ben definiti e separati. Pedagogicamente, si rifà al Cognitivismo ed in particolare alla corrente del Modularismo, mutuata direttamente dagli Stati Uniti. Suoi caratteri fondamentali sono la prevalenza assoluta data all’insegnamento delle singole materie, ognuna nettamente separata dall’altra. Questa impostazione nega che l’apprendimento del bambino sia globale, cioè incapace inizialmente di nette specializzazioni disciplinari ed indissolubilmente connesso alla situazione affettiva ed alle motivazioni profonde verso ciò che si apprende.
La concezione modulare vede il cervello infantile già strutturato per diversi settori di apprendimento (linguistico, matematico-storico, musicale…). E lo stesso apprendimento delle varie materie – poco legato a motivazioni ed affettività e centrato sull’organizzazione specifica della didattica – che, essa dice, concorre in modo determinante a strutturare la personalità del bambino!
In questa ottica l’educazione complessiva è rimandata totalmente alla famiglia ed estremamente secondarie divengono a scuola la socialità con gli altri ed i tempi lunghi ed articolati mirati all’attuazione di un progetto educativo. Da qui discendono quindi i tempi più brevi (27/30 ore settimanali), i ritmi di apprendimento velocizzati, il rapporto più delimitato e specialistico fra insegnante e bambini (tre o quattro insegnanti che ruotano fra le classi: ogni docente deve seguire da 30/40 a 60/75 alunni).
IL TEMPO PIENO
Il Tempo pieno, dall’altro lato, si rifà a Dewey, a Freinet e alla pedagogia della scuola attiva: il concetto su cui si sviluppa è quello di Comunità educante, scuola cioè come comunità esperta il cui fine è la educazione complessiva della personalità del bambino. Un progetto pedagogico basato non solo su l’insegnante, che prima di tutto è educatore, ma anche sull’intero ambiente scolastico, strutturato in modo da stimolare e favorire la socialità, la ricerca, l’equilibrio affettivo.
L’apprendimento è visto come sviluppo lento e graduato che va da un approccio globale e indifferenziato ad una progressiva specializzazione disciplinare ed è intimamente connesso all’equilibrio affettivo, agli stimoli relazionali, alle motivazioni profonde. Da qui i tempi lunghi che garantiscano lo spazio necessario ad un apprendimento centrato sulla ricerca, la sperimentazione, l’importanza data ai momenti della mensa, della ricreazione, del gioco. Da qui la necessità vitale di un rapporto “carico” insegnante/ bambino, un rapporto che veda una pluralità di adulti interagire in modo intenso con un piccolo/medio numero di bambini (due insegnanti – tre con sostegno o lingua – per una classe dai 15 ai 25 alunni).
Evidentemente qualcosa nel Tempo Pieno, in questo progetto complesso, risponde profondamente ad una serie di esigenze forti che si fanno più urgenti di anno in anno, di decennio in decennio; il Doposcuola previsto dalla L. 148I90 per sostituire il Tempo pieno, invece, non riuscirà mai a decollare!
Nel 1996 la crescita continua delle iscrizioni, vanamente contrastata dall’amministrazione raggiungerà infine, per merito delle continue iniziative di lotta che si sono susseguite anno dopo anno, una vittoria significativa: il tetto massimo delle classi a tempo pieno viene abolito ed il modello “Tempo pieno” ha nuovamente diritto a crescere liberamente accanto ai Moduli ormai sempre più in crisi.