IL DISTURBO DA DEFICIT DI ATTENZIONE E IPERATTIVITÁ (ADHD)
L’ADHD è un disturbo del neurosviluppo che accompagna la crescita del bambino e può permanere anche fino all’età adulta. Si può presentare in tre modalità: iperattivo-impulsivo, inattentivo, combinato.
Per essere definiti ADHD, i comportamenti disfunzionali, di iperattività e disattenzione, devono essere presenti prima dei 12 anni e in più contesti (casa/scuola, o lavoro in caso di adulti). Se i comportamenti sono presenti soltanto in un contesto specifico, allora diventano conseguenza dello stile educativo che i genitori mettono in atto.
Secondo la definizione del DSM-5, l’ADHD è caratterizzato da:
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6 sintomi o più di disattenzione che persistono da almeno 6 mesi (5 o più se età > 17 anni).
Spesso fallisce nel prestare attenzione ai dettagli o compie errori di inattenzione nei compiti a scuola o anche nel lavoro (se riguarda ragazzi più grandi o adulti), o in altre attività. Difficoltà nel sostenere l’attenzione, tendendo a passare da un’attività all’altra. Sembra non ascoltare quando gli so parla direttamente. Non segue completamente le istruzioni e ha difficoltà nel terminare i compiti/lavori/attività assegnati. Presenta difficoltà organizzative. Evita o è riluttante ad impegnarsi in compiti che richiedono sforzo mentale sostenuto. Perde materiale necessario per compiti o altre attività. Facilmente distratto da stimoli esterni. Sbadato nelle attività quotidiane.
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6 sintomi o più di impulsività o iperattività che persistono da almeno 6 mesi (5 o più se età > 17 anni)
Iperattività: Muove le mani o i piedi, o si agita sulla sedia. Si alza in classe o in altre situazioni dove ci si aspetta che rimanga seduto. Corre in giro o si arrampica in situazioni in cui non è appropriato (in adolescenti o adulti può essere limitato ad una sensazione soggettiva di irrequietezza). Difficoltà a giocare o ad impegnarsi in attività tranquille in modo quieto. È continuamente “in marcia” o agisce come se fosse “spinto da un motorino”; la sera generalmente crolla improvvisamente e si addormenta. Può riguardare anche il linguaggio, presenza di un eloquio eccessivo.
Impulsività: “spara” delle risposte prima che venga completata la domanda, impulsivo nel rispondere. Difficoltà ad aspettare il proprio turno nella conversazione, non riesce a tollerare l’attesa. Spesso interrompe o si comporta in modo invadente verso gli altri (es. irrompe nei giochi o nelle conversazioni degli altri).
Non si parla, semplicemente, di bambini vivaci. Nell’ADHD questi comportamenti sono esasperati, accentuati al punto da creare una difficoltà e problemi nel rendimento scolastico oppure nella relazione con i pari.
Esistono differenze nei criteri di diagnosi a seconda dei sistemi di classificazione utilizzati:
- ICD-10: devono essere presenti, contemporaneamente, almeno 2 sintomi di inattenzione, 4 di iperattività e 1 di impulsività per poter parlare di disturbo ipercinetico. Identifica solo i casi più gravi e le forme combinate. Impatto ridotto sulla popolazione. Implicazioni epidemiologiche (età scolare): 1-2%.
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DSM-5: devono essere presenti o 6 sintomi o 6 sintomi di iperattività-impulsività. Riconosce un numero di bambini superiore perché sono sufficienti meno sintomi per fare una diagnosi. Implicazioni epidemiologiche (età scolare): 3-5%.
→ Prevalenza e distribuzione fra i sessi: è prevalente nei maschi con un rapporto di 3-9 maschi per ogni femmina, nei campioni clinici (nella popolazione con ADHD) e 4 maschi ogni femmina nei campioni epidemiologici (non necessariamente tutti i bambini presentano un disturbo).
-ADHD tende a cambiare nel corso dello sviluppo
In età prescolare, 3-5 anni:
In età scolare, 6-12 anni:
Dai 12-17 anni:
Adulto:
Andando avanti con l’età risultano più evidenti alcune comorbidità come il disturbo oppositivo, comportamenti provocatori o disturbo dell’umore, e anche condotte antisociali (uso di sostanze stupefacenti, allontanamento da scuola, demotivazione, condotte ai limiti). L’atipia del Sistema Nervoso Centrale può portare anche a sintomi trasversali che riguardano altri disturbi.
→ Comorbidità:
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Molto frequente (50%): disturbo oppositivo-provocatorio, disturbo della condotta
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Frequente (30%): disturbi d’ansia, disturbi di apprendimento
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Moderatamente frequente (15-20%): disturbi dell’umore (depressione, bipolare), tic (Tourette)
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Rara (5-10%): disturbi pervasivi dello sviluppo (autismo, asperger), disabilità intellettiva
→ Complicanze secondarie: difficoltà relazionali (viene allontanato dai pari a causa dei suoi comportamenti e delle sue reazioni), difficoltà scolastiche, bassa autostima (costruzione di un’immagine di sé svalutata).
→ Mediatori prognostici:
EZIOLOGIA
Non esiste un solo ed unico fattore, come avviene per molti altri disturbi del neurosviluppo, che determini la comparsa della malattia. C’è sicuramente una vulnerabilità biologica dovuta a:
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evidenze genetiche -> i genitori di b. ADHD rischio 2-8 volte maggiore, i genitori adottivi hanno un rischio paragonabile ai controlli, tasso di concordanza fra gemelli omozigoti dei 76%. Numerosi geni e cromosomi coinvolti (ad es. 5p13, 6q12, 11q22, 16p13 e 17p11). Geni coinvolti riguardano la regolazione della dopamina (trasportatore della dopamina DAT1, recettore della dopamina DRD4).
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fattori ambientali -> basso peso alla nascita/prematurità; assunzione di alcol in gravidanza; esposizione a fumo materno, piombo, additivi (es. sodio benzoato o coloranti artificiali)
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interazioni geni-ambiente -> es. esposizione al fumo materno può attivare/disattivare alcuni geni e determinare così la presenza di determinati comportamenti disfunzionali.
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anomalie strutturali e funzionali cerebrali -> aree prefrontali, gangli della base e il cervelletto. Ci sono alcuni studi sulle alterazioni strutturali e cerebrali, evidenziano come il volume cerebrale tra maschi e femmine (ADHD) rispetto ai controlli dello stesso e della stessa età, sia ridotto ed è vero anche per alcune porzioni specifiche del cervello (in particolare il nucleo caudato, parte dei gangli della base) e nel cervelletto.
DIAGNOSI
Molti esami strumentali sono purtroppo di scarsa utilità. Quindi, su cosa basare la diagnosi? Sull’osservazione del bambino e dei suoi comportamenti, e non sul funzionamento neuropsicologico delle abilità cognitive. Un errore frequente è associare strettamente la diagnosi di ADHD alla performance in alcuni test di attenzione sostenuta. Vengono utilizzati report di genitori e insegnanti (integrazione di informazioni da più contesti di vita). Non c’è nessun test neuropsicologico o indagini neurofisiologiche (es. elettroencefalogramma) che consentano di fare diagnosi di ADHD. Gli strumenti sono però un ausilio per definire un profilo funzionale del bambino e per valutare la risposta al trattamento. Un test sul quoziente intellettivo va sempre fatto per escludere una comorbidità con la disabilità intellettiva.
Molto utili per la diagnosi sono delle interviste o il colloquio clinico (ad esempio K-SADS-PL, intervista semi strutturata utile per indagare nel dettaglio non solo i nuclei sintomatologici dell’ADHD ma anche l’eventuale presenza di comorbidità).
TRATTAMENTO
Diversi trattamenti:
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Farmacologici:
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Psico-comportamentali:
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Combinati (Psico-comportamentali e farmacologici)
In tutti casi il trattamento richiede un approccio multidisciplinare.
È sempre necessario interrogarsi sulla gravità:
-se sintomatologia meno grave, senza comorbidità → parent/teacher training + CBT
-se sintomatologia grave + comorbidità → trattamento farmacologico, parent/teacher training + CBT
INTERVENTI FARMACOLOGICI
Dai diversi studi sull’efficacia sono derivate alcune linee guida.
Le linee guida Statunitensi propongono il farmaco come trattamento di prima scelta, mentre quelle Europee propongono un approccio multimodale come trattamento differenziato sulla base della gravità (livello di compromissione funzionale che questi bambini possono presentare).
Il farmaco di 1a scelta per l’ADHD in Italia è il Metilfenidato (MPH), appartiene alla categoria dei farmaci psicostimolanti, agisce direttamente sui circuiti dopaminergici e potenzia l’azione della dopamina: è un inibitore del re-uptake della dopamina a livello pre-sinaptico e ha come effetto quello di aumentare la dopamina e la noradrenalina, a livello dello spazio intersinaptico; potenzia, così, la trasmissione dopaminergica e riduce lo stato di iperattività dopaminergica. Diversi tipi di rilascio: immediato, 3 ore (effetto negativo: più somministrazioni); prolungato, 6 ore; modulato e prolungato, 8 ore. Il farmaco ha un’efficacia (riduce sintomi caratteristici dell’ADHD) almeno del 70% , in particolare su inattenzione, iperattività/impulsività e nella bassa autostima.
Effetti collaterali nel breve termine (scompaiono dopo circa 7 giorni dalla sospensione della somministrazione del farmaco):
Se dato nelle giuste dosi e con le corrette sospensioni (conferma di significativa riduzione dei sintomi):
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Non effetti severi nel lungo termine;
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Non effetti avversi significativi su accrescimento staturo-ponderale (altezza-peso);
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Non effetti avversi significativi su apparato riproduttore e sistema endocrino.
Il MPH non va assunto a vita e può essere sospeso quando la psicoterapia diventa efficace; generalmente non si va oltre i 2 anni di somministrazione. Un intervento precoce ha una prognosi migliore, consente al bambino di risolvere nel tempo e soprattutto di non presentare poi in adolescenza tutte le eventuali complicanze comportamentali. Bambini non trattati all’età giusta (7-8-9 anni) possono poi diventare adolescenti particolarmente problematici e possono presentare un disturbo della condotta che poi non risponde più al trattamento farmacologico. Aspettare e attendere quando c’è un disturbo grave può essere altamente controproducente.
Ci sono farmaci non psicostimolanti molto poco utilizzati:
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Atomoxetina: inibitore selettivo della ricaptazione della noradrenalina, seconda scelta per il trattamento dell’ADHD, prima scelta in Italia per il trattamento dell’ADHD diagnosticato in età adulta in Italia.
Posologia: 0.5-1.2 mg/Kg/die nei bambini sino ai 70Kg. Negli adulti 40-100 mg/die.
Tempo di azione: 12 settimane.
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Clonidina: alfa-2 agonista (antipertensivo) presinaptico in sede prefrontale RP (0.1-0-4 mg/die in dosi frazionate).
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Guanfacina: alfa-2 agonista (antipertensivo) post-sinaptico in sede prefrontale RP (1-2 mg/die in dosi frazionate).
Linee guida per i trattamenti:
-Società Italiana di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza (SINPIA):
<6 anni: Terapia psico-educazionale, interventi indirizzati sia alla famiglia sia alla scuola.
>6 anni: se ADHD severo o assenza di risposta dopo più di 6 mesi di terapia cognitivo-comportamentale, si passa ad intervento farmacologico.
– National Institute for health and Clinical Excellence (NICE):
Nei prescolari: il farmaco non è raccomandato, soltanto nei casi gravi, altamente disfunzionali, che non rispondono in alcun modo. Il Parent training di gruppo è il trattamento di prima scelta. Il parent training individuale è un’eccezione (se non si raggiunge un gruppo minimo, se le famiglie non possono sostenerlo per difficoltà linguistiche o ambientali).
In età scolare: il parent training è il trattamento di prima scelta nei casi di minore gravità e, eventualmente, più CBT o social skill training e teacher training. Il farmaco è indicato come trattamento di prima scelta nei casi gravi o se vengono rifiutati altri interventi.
– European network for hyperkinetic disorders (EUNETHIDYS)
– Scottish Intercollegiate Guidelines Network (SIGN)
INTERVENTI “PSICOEDUCATIVI”
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Informare tutte le persone coinvolte e relativi problemi associati;
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Chiedere ai genitori, ai bambini e alle altre persone coinvolte la loro opinione sul problema e sulla possibile soluzione;
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Riferire ai genitori le opzioni di intervento
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Sviluppare insieme un piano di trattamento
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Indicare a genitori e parenti come interagire con il paziente nella vita quotidiana
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Presentare materiale di auto-aiuto.
PARENT TRAINING
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Ricordare sempre l’importanza del fattore TEMPO
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Agire → essere diretti, chiari specifici, brevi, stabilire regole chiare, semplici
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Non predicare → no ragionamenti contorti, no ragionamenti lunghi, no ricatti.
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Essere coerenti con le regole e relative conseguenze positive e negative
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Gratificare spesso il bambino senza posticipare troppo
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È molto importante la rapidità con cui è data la ricompensa, piuttosto che l’entità della ricompensa stessa.
A livello internazionale esistono diversi protocolli che sono stati sviluppati sul Parent training e sono rivolti a bambini che hanno difficoltà comportamentali di varia natura, in particolare ADHD, ma anche disturbo oppositivo provocatorio. Grazie alla gestione e supporto ai genitori e agli insegnanti (nel caso del teacher training), si possono facilitare i progressi nel bambino rispetto ai suoi comportamenti disfunzionali.
Il Parent training può essere svolto in gruppo o singolarmente. Secondo i protocolli internazionale è preferibile utilizzare la modalità di gruppo (4 coppie genitoriali), quando però non è possibile perché non si riesce a creare un gruppo omogeneo, per difficoltà del bambino o ci sono delle situazioni familiari molto problematiche, può essere svolto anche a singole coppie genitoriali. Sono delle sedute semi strutturate (in genere almeno 10 incontri).
Il Parent training non è terapia di coppia, non si coinvolgono i genitori per discutere le loro dinamiche familiari o i loro problemi relazionali, ci si focalizza sulle strategie che i genitori mettono in atto con il bambino, si mettono a fuoco i comportamenti del bambino non funzionali e si sviluppano insieme delle strategie.
La natura di questo training è ad orientamento cognitivo-comportamentale e serve per aiutare il bambino ad aumentare comportamenti positivi e a ridurre i comportamenti negativi, oltre che preparare i genitori al cambiamento.
Il parent training serve anche ad accrescere la loro consapevolezza rispetto alle strategie che utilizzano e rispetto alla visione che hanno del bambino.
-Fornire informazioni
Il terapeuta in una prima fase fornisce ai genitori delle indicazioni sul disturbo, permette un’adeguata comprensione del problema, amplia il loro bagaglio di conoscenze che li rende capaci di <<leggere>> in termini corretti le manifestazioni comportamentali del bambino.
È una parte fondamentale poiché spesso i genitori, a cui è rivolto il training, pensano che si lavori con loro perché sono loro la causa del problema. Invece, la prima parte dell’intervento serve a chiarire che non sono la causa ma sono presenti delle componenti neurobiologiche e che, cambiando delle strategie, possono supportare il bambino nel cambiamento; è, quindi, cruciale la loro inclusione nell’intervento.
-Accrescere la consapevolezza
Analizzare le aspettative è un punto nodale per una buona riuscita del training. Spesso i genitori hanno una visione totalmente diversa del bambino perché hanno storie diverse e anche sistemi educativi diversi. Questa visione va ristrutturata in chiave realistica e creare un’immagine unitaria e di conseguenza una risposta univoca ai comportamenti problematici.
Spesso il bambino con problemi comportamentali, che i genitori hanno difficoltà a contenere o affrontare, viene visto o descritto solo per il suo disturbo.
Punti di forza |
Punti di debolezza |
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4 |
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Spesso i genitori hanno pensieri inefficaci che possono essere: fissi (ad es. il figlio e loro stessi non cambieranno mai, poca fiducia sull’evoluzione dei comportamenti) e/o non realistici (ad es. sulla guarigione e sullo sviluppo; si sentono poco attivi nel percorso). Altri pensieri che non sono funzionali in questo percorso possono essere dei pensieri rivolti al bambino: è cocciuto, non ascolta mai quello che gli si dice, è svogliato.
Oppure anche su se stessi: siamo sfortunati, eravamo anche noi così.
-Analisi dello stile genitoriale
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Alti livelli di affetto e bassi livelli di fermezza: stile educativo sbilanciato sul versante affettivo; assenza di un modello educativo di riferimento chiaro; i comportamenti disfunzionali del bambino generalmente non sono seguiti da una conseguenza; assenza di incoraggiamento all’acquisizione delle autonomie; sistema di regole debole; attribuzione di un significato negativo alla punizione e alla frustrazione; scarsa capacità di regolazione emotiva del genitore, che tende a non assumere un atteggiamento autorevole.
Presenza di convinzioni irrazionali, caratterizzate da catastrofismo. Esempi: “il mio bambino non deve mai sentirsi a disagio o in condizione di provare emozioni spiacevoli”, “devo fare in modo che mio figlio mi voglia bene sempre, in qualsiasi momento”, “non è grave cedere alle richieste di mio figlio per semplificarmi la vita”. Queste convinzioni poi risultano fallimentari in un percorso di intervento parent training, dove invece devono modificare i propri comportamenti per aiutare il bambino.
Questo genera effetti sul bambino: si convince di poter fare ciò che vuole, non riconosce il ruolo di guida del genitore, non riesce a tollerare le frustrazioni e fa fatica a diventare autonomo.
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Alti livelli di fermezza e poco affetto: stile educativo sbilanciato sul versante dell’autorevolezza; uso frequente del rinforzo negativo; ricordo frequente alla punizione o alla minaccia della punizione; sistema di regole troppo rigido; scarsa capacità di regolazione emotiva del genitore, che tende ad essere poco affettuoso e a perdere il controllo; tendenza a mortificare il bambino, attraverso critiche alla persona e non al comportamento.
Presenza di convinzioni irrazionali caratterizzate da attenzione selettiva, giudizi globali, generalizzazione. Esempi: “mio figlio deve sempre obbedire perché io sono suo padre/sua madre”, “il mio bambino deve fare sempre quello che dico io”, “solo se mi arrabbio con mio figlio riesco ad ottenere quello che voglio da lui”, “non è utile lodare o ricompensare mio figlio, così lo vizio”.
Questo genera nel bambino: una forte insicurezza, senso di inadeguatezza, ansia, sensi di colpa; comportamenti di sottomissione, passività; tendenza all’autosvalutazione.
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Improntato su affetto e fermezza: stile educativo equilibrato; atteggiamenti genitoriali prevedibili e coerenti; uso adeguato del rinforzo positivo; presenza di un chiaro sistema di regole; buone capacità di regolazione emotiva da parte del genitore; buone capacità comunicative; dialogo costruttivo tra genitore e bambino; incoraggiamento alla responsabilità e autonomia.
Presenza di convinzioni razionali, caratterizzate da realismo, auto accettazione, obiettività e flessibilità. Esempi: “farò del mio meglio per essere un bravo genitore, ma so che potrò sbagliare e che il genitore perfetto non esiste”, “sarebbe bello se mio figlio si comportasse sempre bene, ma è pur sempre un bambino e la rabbia non aiuta a risolvere le situazioni critiche”, “le difficoltà di mio figlio non sempre dipendono da noi genitori”.
In questo modo il bambino: esprime al meglio le sue potenzialità; ha un buon funzionamento nel contesto sociale, scolastico e familiare.
-Modificare un comportamento
Tre possibilità:
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Lavorare sugli antecedenti: ovvero su ciò che viene prima, ciò che scatena quel comportamento
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Intervenire sul comportamento: presentando delle modalità o dei comportamenti alternativi (modeling, fare da modello al bambino mettendo in atto il comportamento adeguato)
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Lavorare sulle conseguenze.
Modificare l’antecedente
Per ridurre le possibilità che un comportamento negativo si verifichi. Quando andiamo a modificare l’antecedente bisogna riflettere sulle azioni adottate dei genitori e verificare che queste azioni siano efficaci o meno per ottenere un comportamento.
→Lavorare sulle richieste per ridurre azioni inefficaci.
Solo modificando i comandi è possibile ridurre la probabilità che un comportamento negativo si verifichi.
NO domande al bambino (“mi daresti la costruzione?”, “dovresti mettere il treno nella scatola”, “disegneresti un cerchio?”) ma vanno date delle indicazioni dirette (“dammi la costruzione”, “ora devi rimettere a posto i tuoi giocattoli”), cosa che riduce la probabilità che poi il bambino faccia quello che vuole.
Un’altra strategia sui comandi è dare comandi positivi: quando vengono dati comandi negativi (ad es. “non urlare”, “non correre”) vengono sottolineate le cose che non devono essere fatte, se invece vengono dati comandi positivi (ad es. “cammina piano”, “parla a bassa voce”) viene data l’indicazione al bambino del comportamento positivo richiesto, quello che deve fare in quella situazione o contesto.
Un’altra modalità è la specificità: spesso si sente dire dal genitore “fai il bravo”, “stai attento”, “piantala”, ma questi comandi sono troppo generici, sarebbe meglio essere più specifici nella richiesta al bambino (ad es. “vorrei che non tirassi fuori tutte le cose dall’armadio”).
È importante anche dare un comando alla volta: evitare catene di richieste (ad es. “vai in camera, prendi i vestiti sporchi e mettili nella cesta dei panni da lavare”); quando le richieste sono troppe, eccessive, il bambino si demotiva, avverte troppa fatica e non inizia nemmeno a rispondere alla prima richiesta.
Non rispondere ad eventuali domande dopo la richiesta: “lavati le mani”, “perché?” e il genitore si perde in una spiegazione infinita. Questo non è funzionale e fa perdere anche autorevolezza e potere al genitore.
Importante dare comandi quando è necessario: se il bambino riesce a stare seduto a tavola fino alla fine della prima portata, si può sorvolare sul fatto che si muove con i piedi sulla sedia. Bisogna avere una gerarchia di comportamenti in mente e il parent training aiuta nella creazione di questa gerarchia, proprio per aiutare il genitore a sorvolare sui comportamenti che non sono particolarmente negativi e disfunzionali, e concentrarsi invece su comportamenti positivi che vogliamo ottenere.
Riassumendo:
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Richiesta inefficace: vaga, ripetuta, domanda, urlata a distanza, catena di richieste
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Richiesta efficace: significato chiaro e semplice, dare un comando alla volta, essere sicuri di ricevere attenzione, chiedere di ripetere.
→Stabilire regole e routine familiari.
Scelte educative che favoriscono l’autoregolazione: rendere il bambino capace di prevedere ciò che accadrà in base alle regole e routine familiari.
Ambiente prevedibile: bambino ha una sorta di codice che gli permette di sapere, in anticipo, quali sono le attività e quali sono le routine a cui si deve attenere. Questo tipo di modalità permette che il bambino non improvvisi, non si comporti come vuole e segua invece delle regole delle routine ben codificate.
Instaurare routine: creare un calendario delle attività familiari ricorrenti → elencare in anticipo le attività (ad es. con elenchi) riduce la resistenza. Ad es. Routine del risveglio, dei denti, della doccia, del lavaggio mani.
Stabilire regole: serve ad esplicitare, rendere chiari, aspetti dati per scontati. Esplicitare la regola con poche parole puntuali soprattutto quando viene trasgredita senza dare giudizi.
Modificare le conseguenze del comportamento
Ci si lavora quando il comportamento ormai è messo in atto. Ridurre progressivamente i comportamenti negativi e aumentare progressivamente i comportamenti positivi.
→Azioni inefficaci del genitore:
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Rimproveri e punizioni eccessivi: non perché di per sé siano negativi, ma perché un bambino che già ha un problema comportamentale, che già ha una bassissima autostima, ha anche bisogno di credere in se stesso e vedere che ce la sta facendo a cambiare. Sottolineare solo quello che non riesce a fare aumenta la sua sensazione di inefficacia e fa sì che perseveri nei suoi comportamenti.
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Ridotti rinforzi positivi: spesso il genitore è talmente esasperato che quando il bambino si comporta bene non lo sottolinea e non lo rinforza con una gratificazione.
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Disciplina inefficace: il genitore non è coerente, a volte lascia correre e poi altre volte invece è troppo severo. In un intervento di questo tipo è importante che il genitore a seguito di un comportamento esprima una conseguenza, sia che esso sia positivo che negativo.
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Scarso monitoraggio del comportamento: rinforzo intermittente. Fa sì che venga rinforzato un comportamento negativo se questo non viene notato a causa di scarsa attenzione da parte del genitore
Tipo di comportamento problema |
Antecedenti Quali erano gli eventi precedenti che hanno innescato il comportamento? Descrivete le azioni di genitori e figli |
Comportamento Descrivete precisamente quale cosa ha fatto il figlio che sia un problema per lui o per i genitori |
Conseguenze Descrivete cosa è successo dopo il comportamento e come bambino e genitori hanno reagito |
Si alza dalla sedia mentre fa i compiti |
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Il comportamento del bambino deve essere, inoltre, visto come una catena. Raramente il comportamento del bambino nasce dal nulla, spesso ci sono delle condizioni che rendono più probabile che quel comportamento si verifichi e dei rinforzi del genitore su quel comportamento negativo.
Quando viene sottolineato un comportamento, anche un comportamento negativo, comunque viene posta attenzione su tale comportamento e questo vuol dire aumentare la probabilità che quel comportamento si verifichi.
Per renderci conto di quali sono i rinforzi, ovvero aumentare la probabilità con cui un comportamento si verifichi, sono utili alcune schede.
Ci si focalizza su un comportamento, molto specifico e dettagliato, ed è importante descrivere tutte quelle condizioni che anticipano tale comportamento (modificare gli antecedenti se alcuni di questi aumentano la probabilità che si verifichi) oppure possono esserci delle reazioni che il genitore mette in atto e rinforza il comportamento. Analizzare la catena permette di andare ad individuare le condizioni che determinano un comportamento, presenti nella maggior parte dei casi, ma anche i rinforzi (spesso quel comportamento viene ripetuto perché il bambino ottiene qualcosa, anche solo ottenere attenzione).
Se l’obiettivo è aumentare la frequenza di un comportamento corretto va gratificato quando un bambino lo mette in atto, questo aumenta la sua autostima e crea un clima di condivisione.
Rinforzare:
-si specifica come vorremmo che il bambino si comportasse (modo),
–non lodare il bambino per un comportamento sempre presente o mai oggetto di interesse;
–rinforzo materiale (gioco, cibo preferito) ma anche non materiale (tempo con il genitore);
–feedback contingenti, discontinuità delle reazioni (ad es. per stanchezza), questo comporta il pericolo del rinforzo intermittente.
Vanno selezionati i comportamenti che si vogliono rinforzare (possono essere due o tre e devono essere molto chiari) e i rinforzi (giornalieri o settimanali) vanno scelti con il bambino, devono avere un valore per lui. Fare una lista.
Quindi:
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Aspettare quei comportamenti positivi/coglierli
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Essere specifici
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Essere immediati
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Essere onesti/mai adulare
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Evitare critiche (avere sempre un atteggiamento positivo)
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Evitare richieste di spiegazione
Se il bambino mette in atto dei comportamenti negativi? Si insegna al genitore ad avere una gerarchia dei comportamenti. Ci possono essere dei comportamenti lievemente negativi che posso ignorare ma se ci sono dei comportamenti marcatamente negativi che non possono essere ignorati ma devono essere penalizzati, perdendo, ad esempio, un beneficio (costo della risposta).
Perché ignorare quelli lievemente negativi? Perché non rispondendo o facendo finta di non averli visti, inizialmente potrebbero crescere di frequenza, ma se non rinforzati piano piano si riducono, per poi scomparire. Spesso assunti per ottenere una cosa specifica o con il semplice scopo di attirare l’attenzione, anche se può voler dire subire una sgridata o una punizione.